Alfin su quella inaccessibil vetta
Di Natura confin potè Sofia
Poggiare ai fianchi di Sossure stretta;
Alfin la fronte indomita, restia
Del gigante de l’Alpi altero vinse
L’arte che di salir trovò la via.
Invano i fianchi d’irti scogli ei cinse
E a l’ampie spalle feo con strane forme
Scudo de l’onda che in cristallo strinse,
Che non può umano ardir, che mai non dorme?
L’intrepido Sossur que’ scogli algenti
Stampa con franco pie’ di novell’orme.
Mugghino pure la procella e i venti,
E corona facendo all’alte rupi
Sciolgan dall’atro crin mille torrenti,
Che piombando per balze e per dirupi
Divelti massi, infranti scogli all’onde
Misti travolgan giù per gli antri cupi;
Rimbombino le valli; e l’erme sponde
Crollando, e i ponti a diroccar già presti
Apran nuove voragini profonde;
L’eroe non teme; dopo i dì molesti,
Dopo le nubi tempestose, un giorno
Spunterà, che la gioia in lui ridesti.1
Apparso è il sol: ei già spïando intorno
Qual fia men dubbio calle, ardito move
Ad affrontare il periglioso corno
Dicea tra sè: «Pur salirò là dove
Siede, cinta d’un vel, l’alma natura,
E scoprirò sue belle forme nuove».
Così la strada faticosa e dura
Tenta alleviare; e i suoi compagni incerti
E pavidi conforta e rassicura. 2