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il volta alpinista 33


di questa o quella situazione terribile, se ad ogni passo di tali se ne incontrano in quel viaggio; se quasi null’altro si affaccia al passeggiero, per ore ed ore, che dirupi e rovine sovrastanti al capo e precipizî aperti sotto de’ piedi? Sovente sopra la valle profondissima, che gonfia e spumante rumoreggia, altro piano non havvi che quello della strada angusta tagliata nel nudo ceppo, e a luogo a luogo sostenuta da muri fondati a gran profondità sopra punte di scogli; ed in tal sito, dove s’incurva addentro in un col monte la strada, e la valle più s’inabissa, una larga cascata d’acqua dal ciglion della roccia soprastante piomba sulla strada medesima, e di là rotta balza nel profondo. Ho già parlato dei pezzi di sasso orribilmente grossi, talvolta di centinaia di piedi, che sonosi dalle rupi staccati e precipitati al basso, d’altri che stanno sull’orlo delle prominenze e minacciano ogni momento la caduta, e di quelli finalmente che, arrestati nel corso da piante od altro, e l’uno all’altro addossati, non aspettano che un’acqua impetuosa che li trascini, od un semplice urto che li travolga; ma non ho detto che si veggono tuttavia delle case piantate qua e là sotto quelle masse pendenti, e che gli abitanti delle medesime vi vivono (chi ’l crederebbe?) tranquilli e tengonsi non meno sicuri che i principi nei loro palagi. Tanti dei grossi ceppi venuti sino in fondo della valle, ed ivi impiantati, vi si veggono non ancora spogliati in tutto dell’antica veste d’erbe e di piante allignatevi. Così una quantità di abeti e di tassi, cresciuti già un tempo sul ciglio o sul dorso del monte, e strascinati quindi al basso dalle pietre che sonosi spezzate e divelte, giacciono qua e là o solitarii, o sopra le pietre medesime, o intieri o fracassati, dove ancor verdi, dove disseccati o fracidi, in tutte quante le posizioni. Sembrano per lo più all’osservatore quei grossi tronchi e quelle piante altissime nulla più che bastoni o ramoscelli: tanto gli impicciolisce all’occhio la profondità in cui si mirano, e la mole gigantesca delle rupi che loro stan sopra».

Fatta così viva pittura dell’ambiente alpino tra cui corre la strada del San Gottardo1, il Volta viene a parlare in modo

  1. Il passo del San Gottardo, se venne descritto da molti turisti, tra cui, anche lo Scheuchzer, è stato pure cantato da parecchi poeti. Bella sovra tutte è la Canzone dell’Alpe dello Schiller, ove quell’alta regione è magistralmente descritta, dalla vallata della Reuss alle due punte di Fibbia e di Prosa. Anche nel Guglielmo Tell è descritta la strada del San Gottardo: il protagonista la insegna a Giovanni il Parricida, fornendogli i particolari del cammino fino alla terra italiana. Ma se lo Schiller parlò del Gottardo, togliendone gli elementi descrittivi alle opere sulla Svizzera od alla conversazione con coloro che vi furono, Wolfango Goethe ne trattò con conoscenza di causa, avendo attentamente e con particolare affetto visitato quei luoghi in occasione de’ suoi tre viaggi nella Svizzera, compiuti rispettivamente nel 1775, nel 1779 e nel 1797. I ri-
M. Cermenati: Il Volta Alpinista — 3.