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il volta alpinista 9

natura, cui toccarono poche anime eccezionali — non attecchì fra tanta gente; quelle bellezze rudi, selvaggie maestose, sublimi, non si comprendevano affatto. Così il cosmografo cinquecentista Sebastiano Münster (1550) ha descritto la Svizzera, senza una parola in favore delle montagne, e, mentre chiamò belle e piacevoli le vallate e le pianure coltivate e lodò ad usura i comodi e gli ornamenti delle città, disse spaventose e terribili — e non altro! — le montagne, le rupi e persino le cascate, tra cui la celeberrima del Reno a Sciaffusa.

Apprezzamenti consimili abbondano nella letteratura dei secoli andati. Nelle varie opere in cui si fa cenno di traversate delle Alpi — come in quelle del Cellini, del Bentivoglio e del Rucellai tra gl’italiani, del Montaigne e del Lalande tra i francesi, dell’Evelyn, di lady Maria Wortley, di lady Montagu e di Orazio Walpole fra gli inglesi — i monti non figurano se non come luoghi di spavento, come distributori di malanni, come forche caudine. I viaggi turistici erano già di moda nella prima metà del secolo scorso: eppure troviamo il Keyssler che, descrivendo le sue peregrinazioni in Italia, in Svizzera ed in Germania — compiute dal 1729 al 1731 — rifuggi dal parlare di montagne o, se costretto, ne discorse come di roba vituperevole o, quanto meno, da trascurarsi, mostrando, per esempio, di preferire la fertile, ma monotona, pianura mantovana alle aspre, ma bellissime, montagne del Tirolo. Dell’istessa epoca è l’inglese capitano Burt, che, avendo viaggiato nella parte montuosa della Scozia, chiamò orribili quelle alture, aggiungendo essere in loro confronto piena di attrattive la più volgare spianata di sabbia. Il Goldsmith, essendosi anche lui arrischiato sulle montagne scozzesi, ne parlò poi con orrore, come se v’avesse trovato l’inferno1. Il Füssli, nella sua descrizione politica e fisica della Svizzera, edita nel 1770, meravigliavasi come alcuno trovasse bella la valle d’Engelberg — in realtà bellissima! — mentre non vi si vedevano, a parer suo, che «schifose montagne, un bel convento, un brutto villaggio, qualche casa qua e là, ed un piano senza coltura»...

Insomma, eravamo già ai tempi del Volta, e gli amici della montagna potevansi contare sulle dita; fra tanta gente che, dall’antichità praticava i monti, o per un motivo o per l’altro, non era

  1. Lo stesso Macaulay cercò di scusare questi sentimenti del Burt e del Goldsmith col dire che l’alta Scozia non poteva a quei tempi piacere per la poca sicurezza che vi regnava; ma ognun vede che la scusa è molto magra. Nelle montagne scozzesi compiè dippoi un lungo viaggio l’inglese John Knox, che lo descrisse in due volumi, subito tradotti in francese (Voyage dans les montagnes de l'Ecosse et dans les isles, fait en 1786 par John Knox. Paris, 1790).