Pagina:Alessandro Volta, alpinista.djvu/12

8 il volta alpinista

ciale quei viaggi è la parte alpinistica, che a ciascun d’essi si rannoda, e che dal Volta stesso è con manifesta predilezione esercitata. In ogni suo passaggio attraverso le Alpi, per recarsi all’estero — a differenza de’ suoi contemporanei che vi transitavano, per così dire, ad occhi chiusi, e colla malavoglia con cui si soggiace ad una necessità ineluttabile, magari facendosi il segno della croce, per scongiurare i temuti pericoli! — il Volta approfitta dell’occasione per studiare l’ambiente alpino, per coglierne i fenomeni estetici e scientifici, per goderne le impareggiabili delizie. E trasforma quel che per gli altri è valico puro e semplice, come in un baule, in una vera escursione alpinistica, facendo quasi sempre a piedi la strada, per meglio osservare ed apprezzare la montagna. Non appena poi le condizioni dell’itinerario glielo permettono, sosta alcun tempo sul dorso alpino e si spinge a salire qualche vetta, altrettanto desideroso di compiere lassù esperienze fisiche, quanto sospinto da vera simpatia per l’eccelso.

È strano che l’alpinismo non abbia mai attecchito, quando le vie del Cenisio, del San Bernardo, del San Gottardo, dello Spluga e di tutti gli altri passi alpini erano battute da migliaia di persone al giorno: mentre fiorisce gagliardo oggidì, in cui quelle alte vie sono abbandonate o poco frequentate, ed i viaggiatori vanno oltralpe trasportati dal treno, che rapido infila gli oscurissimi «tunnels»! Parrebbe naturale che, con tanta gente che per l’addietro attraversava le Alpi, in mezzo a tutti quei picchi sublimi, molti dovessero sentirsene invaghiti e desiderassero, scostandosi dalla strada battuta, montarne le sommità! Invece, per tanti e tanti secoli, in così favorevole e, dirò, tentatrice occasione, nessuno provò quel sentimento dell’alto, che oggigiorno è cotanto, diffuso, e tanta gente trascina.

Da Giulio Cesare — che, valicando le Alpi per tornare fra le sue legioni in Gallia, scriveva il trattato De Analogia, — agli ambasciatori spediti da Ferdinando II, granduca di Toscana, a Luigi XIII re di Francia, i quali sul Moncenisio provarono un gusto matto trastullandosi con le slitte; da Silio Italico — che dipinse le Alpi come luogo di terrore o solitudini da sfuggirsi — al Chateaubriand — che disse di non aver provato soddisfazione alcuna visitando la valle di Chamonix e sostenne che sui monti non trovasi nè il grandioso, nè il grazioso..... per tutto questo immenso lasso di tempo, e prima e dopo ancora, le Alpi furono passate e ripassate da milioni di uomini, senza che alcuno sentisse in sè il nobilissimo stimolo dell’Excelsior. L’ammirazione per le bellezze delle Alpi — conseguenza di uno squisitissimo sentimento della