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vertito dall’innocente tortorella, ignara del male che faceva, affrettossi a consumare la sua opera.
Aprì il cumò di Cecilia, ne trasse robe di seta e lini, e fece di tutto un fardello più piccolo che era possibile; dipoi l’avvolse in una delle pelli che servivano di tappeto, e lo collocò sur una seggiola alla distesa della mano, per non perder tempo in fuggendo.
Era cosa ben singolare il pensiero di questo uomo. Nell’atto di commettere un tanto delitto, ebbe la dilicata idea di voler mitigare la sventura della fanciulla, facendo che nulla le mancasse nel viaggio disagevole che stava per intraprendere.
Quando tutto fu preparato, aperse la porticina che metteva nel giardino, e studiò il cammino che dovea tenere; ed era necessario; perocchè, non appena si prendesse Cecilia fra le braccia, dovea partire e arrivare d’una sola corsa veloce, rapida, cieca.
Quella porticina era situata in un angolo della stanza, rimpetto al vano fra il letto e la parete; collocato in questo luogo, non aveva che a fare un movimento; afferrare la fanciulla e gettarsi fuori della camera.
Nell’atto che stava per accostarsi al letto, udissi un gemito, quasi un sospiro represso e pieno di angoscia.
I capelli si rizzarono sulla fronte di Loredano, e una goccia di sudor freddo, gelato, gli rigò le guancìe pallide e contratte.