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Uscì allora furtivamente e accese un cero, che collocò sul cumò allato a un crocifisso di avorio; dipoi chiuse la porta, le finestre e ogni apertura, per cui potesse penetrare la luce del giorno.
La camera rimase all’oscuro; soltanto attorno il cero che ardeva una pallida aureola s’innalzava dal mezzo delle tenebre, e illuminava l’immagine di Cristo.
La giovane s’inginocchiò e fece una breve orazione; chiedeva a Dio un’ultima grazia; chiedeva l’eternità e la felicità del suo amore, che era passato tanto rapido sopra la terra.
Terminata la preghiera, prese la luce, la pose vicino al capezzale del letto, aperse le cortine e cominciò a contemplare il suo amante con gran tenerezza.
Alvaro parea soltanto addormentato; la sua bella fisonomia non era punto alterata; la morte, imprimendo sulle sue sembianze un colore di cera e di marmo, avea soltanto reso immobile l’espressione, e fatto del gentil cavaliere una bella statua.
Isabella interruppe l’incanto della sua contemplazione per accostarsi al cumò, ove si vedeano alcune di quelle conchiglie tinte di porpora, che si colgono sulle spiaggie del Brasile, e una cestella di paglia variopinta.
Questa cestella conteneva tutte le resine aromatiche, tutti i profumi che producono gli alberi di quelle regioni; la gomma dell’aroeira, le perle del belzuino, le lacrime cristallizzate