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Il sole già raggiava da qualche ora; Pery terminava la sua refezione, quando udì una scarica d’armi da fuoco, il cui strepito rimbombò nelle latebre della foresta.

Lanciossi nella direzione degli spari, e a poca distanza, in un luogo aperto del bosco, scoperse uno spettacolo grandioso.

Alvaro e i suoi nove compagni, divisi in due colonne di cinque uomini, colle schiene rivolte l’una contro l’altra, erano circondati da più di cento Aimorè, che si precipitavano sopra di loro con furore selvaggio.

Ma le onde di quel torrente di barbari, che mettevano bramiti spaventosi, andavano a frangersi contro quella piccola colonna, che non parea di uomini, ma di granito; le spade aggiravansi con tanta rapidità da renderla impenetrabile: in un raggio di un braccio il nemico che si avanzava cadea morto.

Già da un’ora durava quel combattimento cominciato con armi da fuoco; ma gli Aimorè si eran messi all’assalto con tanta furia, che in breve la lotta fu ridotta a corpo a corpo e all’arma bianca.

Nell’atto che Pery giunse all’orlo di quello spianato, un accidente venne a cambiare alquanto l’aspetto del combattimento.

L’avventuriere che stava colla schiena di rincontro ad Alvaro, tratto dall’ardore della mischia, si era avanzato di alcuni passi per ferire l’inimico; i selvaggi lo investirono, lasciando la colonna interrotta e Alvaro senza difesa.