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che vaga e tenue, venne a posarsi su quei cuori affranti da tanti patimenti e da tante angustie.
La notte passò tranquilla; nulla indicava che la casa fosse accerchiata da un nemico sì terribile come gli Aimorè.
Don Antonio maravigliavasi che i selvaggi, dopo l’assalto del mattino, si tenessero cheti nel loro campo, e non avessero investito una sola volta la casa.
Gli passò per la mente l’idea che si fossero ritirati per la perdita di alcuno de’ loro principali guerrieri; ma già da molto tempo conosceva lo spirito vendicativo e la tenacità di quella razza, per far buona una simile supposizione.
Cecilia adagiossi sur un sofà, e affranta dalla fatica riuscì a velare gli occhi, malgrado i tristi pensieri e l’ansietà cui era in preda.
Isabella, col cuore chiuso da un terribile presentimento, pensava ad Alvaro, e l’accompagnava da lungi nella sua pericolosa spedizione, mescolando le preci alle parole ardenti del suo amore.
Di tal modo scorse questa notte; la prima, dopo tre giorni, che la famiglia di don Antorio de Mariz potè godere di alcuni momenti di quiete.
Di quando in quando il fidalgo, facendosi alla finestra, vedea da lungi, vicino al fiume, splendere i fuochi degli Aimorè; ma una calma profonda regnava per tutta quella pianura.
Neppur udivasi l’eco tramortito di alcuna di quelle canzoni monotone, con cui i selvaggi