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toccarono quelle bevande, e però poche ore dopo caddero morti, come vedemmo, nell’occasione che andarono per assaltare don Antonio de Mariz.
Del resto le scene di lutto e il frangente in cui si trovavano non eran la causa, che infondeva nei loro animi sempre tanto ilari e gioviali quella tristezza insolita.
Morire colle armi alla mano, combattendo contro l’inimico, era per loro cosa naturale, un pensiero cui li avea avvezzi quella vita piena di avventure e di pericoli.
Ciò che realmente li contristava si era il non aver una buona cena e un’anfora di vino davanti; era il loro stomaco che si contraeva per manco d’alimento, e loro toglieva ogni voglia di ridere e di esilararsi.
La fiamma vermiglia del focolare alle volte oscillava all’alito del vento, e stendendosi sullo spianato andava ad illuminare ad alcuna distanza col suo pallido chiarore il corpo di Loredano legato alla catasta di legna
Gli avventurieri avean risolto di indugiare il supplizio, e dar tempo al frate di pentirsi dei suoi delitti e apparecchiarsi a morire da cristiano, umile e penitente; perciò gli lasciarono tutta quella notte a riflettere.
In questa risoluzione forse ci entrava anche un po’ di malvagità e di vendetta; stimando il frate la vera causa della condizione, cui erano ridotti, l’odiavano e prendevano diletto a prolungarne i patimenti: come un riparo al malfatto.