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castigo consacrato dall’Inquisizione per punire gli eretici.

Piantarono nel mezzo dello spianato un gran palco, lo circondarono d’una grossa catasta di legna ed altri combustibili; dipoi sopra quella pira legarono il frate, che soffriva ogni maniera di insulti e di oltraggi senza proferire una parola.

Una specie di atonìa si era impossessata di Loredano fin dal momento che gli avventurieri lo trascinarono fuori della sala di don Antonio de Mariz; egli avea la coscienza del suo delitto e la certezza della sua condanna.

Frattanto, nell’atto che lo legavano su quel rogo, un accidente risvegliò d’improvviso la sensibilità di quel corpo abbrutito dall’idea della morte e dalla convinzione che non potea sottrarvisi.

Uno degli avventurieri, uno dei cinque complici dell’ultima cospirazione, accostossi a Loredano, e traendogli il cinturino che gli stringeva la persona, lo mostrò a’ suoi compagni.

Loredano, al vedersi separare dal suo tesoro, provò un dolore assai più forte, che non sarebbe stato quello del fuoco stesso; per lui non ci avea supplizio, non tormento, che si agguagliasse a questo.

Ciò che il consolava nell’ora estrema, era il pensiero che quel secreto da lui posseduto, e di cui non potea giovarsi, morrebbe con sè, e andrebbe perduto per tutti; e nessuno godrebbe del tesoro che gli sfuggiva.

Perciò, non sì tosto l’avventuriere gli trasse