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loro abitazione colla coscienza alleggerita da un gran peso.

La famiglia potè allora dopo tante emozioni godere un poco di tranquillità e di riposo; non ostante la disperata condizione in cui si trovavano, il ritorno all’obbedienza degli avventurieri in rivolta avea arrecato un debole barlume di speranza.

Solo don Antonio de Mariz non si illudeva, e fin da quella mattina si era accorto, che se gli Aimorè nol vincessero colle armi, lo vincerebbero colla fame.

Tutti i viveri erano consumati, e solo una sortita vigorosa potea salvare la famiglia da quel martirio che la minacciava; martirio assai più crudele di una morte violenta.

Il fidalgo risolse di esaurire tutti i mezzi prima di darsi per vinto; volea morire colla coscienza tranquilla di aver fatto il proprio dovere, e quanto era possibile ad un uomo.

Chiamò Alvaro e s’intrattenne con lui per alcun tempo a voce bassa; concertavano il mezzo di effettuare quel progetto, da cui dipendeva ogni speranza di salvezza.

In questo intervallo gli avventurieri riuniti in consiglio giudicavano frate Angelo, e lo condannavano ad unanimità.

Pronunciata la sentenza, sorsero varie opinioni intorno al supplizio da infliggersi al reo: ciascuno proponeva il genere di morte più crudele; ma l’opinione generale prescelse il fuoco, come il