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tava l’agente di un sacrifizio tremendo fatto all’amistà.

Eran bastati due frutti; uno servì per avvelenar l’acqua e le bevande degli avventurieri in rivolta; l’altro lo accompagnò fino al momento del supplizio, nel qual punto passò dalle sue mani alle labbra.

Quando il carico, vedendolo coprirsi il volto, gli domandò se avea paura, Pery si avvelenava in quel momento il corpo, che fra poche ore dovea essere un germe di morte per tutti quei guerrieri coraggiosi e forti.

Ma quello che dava a siffatto disegno un’impronta di grandezza sovrumana, non era tanto l’eroismo del sacrifizio, quanto la bellezza orribile del concepimento, l’intelletto sublime che avea legato insieme tanti avvenimenti, e li avea sommessi alla sua volontà, facendoli succedere naturalmente e concorrere ad una risoluzione necessaria e infallibile.

Perocchè occorre sapere che, eccetto il caso di un fatto straordinario, di quelli che la previdenza umana non può prevenire, Pery all’uscire di casa avea la certezza che le cose seguirebbero appunto come erano succedute.

Assaltando gli Aimorè la sua intenzione era stata di eccitarli alla vendetta; occorreva mostrarsi forte, valoroso, imperterrito, per meritar che i selvaggi lo trattassero come un nemico degno del loro odio.

Colla sua destrezza, e colla precauzione presa