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I denti acuti come le zanne del jaguar, più non avevano lo smalto lor naturale; armi e strumento ad un tempo di alimentazione, il sangue areali tinti di quel color giallognolo, ch’è proprio dei denti degli animali carnivori.

Le grosse ugne nere e arrapinate, che crescevano alle dita, la pelle aspra e callosa rendevano le loro mani piuttosto zampe terribili, che membra destinate a servir l’uomo e a dare all’aspetto la nobiltà del gesto.

Larghe pelli di animali coprivano il corpo gigantèo di que’ figli delle foreste, che, a non vederne il portamento diritto, sarìansi riputati una razza di quadrumani indigena del nuovo mondo.

Alcuni ornavansi di penne e di collane d’ossa; altri interamente nudi aveano il corpo unto d’olio per ripararlo dagli insetti.

Distinguevasi fra tutti un vecchio che pareva il capo della tribù. La sua statura alta, diritta, malgrado l’età avanzata, sorpassava il capo dei suoi compagni aggruppati o seduti attorno al fuoco.

Non lavorava; sopravvedeva unicamente al lavoro dei selvaggi, e di tratto in tratto gettava qualche occhiata minacciosa verso la casa, che sorgeva in distanza sulla roccia inespugnabile.

Al suo lato una bella Indiana, nel fior dell’età, bruciava sopra una pietra cava alcune foglie di tabacco, il cui fumo elevavasi in grandi spirali e cingeva il capo del vecchio di una specie di bruma o nebbia.