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dente prendea l’ultimo e solenne congedo; che partendosi lo schiavo fedele e devoto volea lasciar la sua anima allacciata a quella immagine, che rappresentava la sua divinità sulla terra.
Che sublime linguaggio non parlavano quegli occhi intelligenti, avvivati da un brillante riflesso di amore e felicità? Che epopea di sentimento e di annegazione non ci avea in quella muta e rispettosa contemplazione?
Alla fine Pery fece uno sforzo supremo, e a stento riuscì a rompere l’incanto che lo incatenava e lo teneva immobile, come una statua avanti la bella fanciulla dormiente.
Chinossi sopra il sofà, e baciò rispettosamente la frangia del vestito di Cecilia; quando si alzò, una lagrima triste e silenziosa, rigandogli il volto, cadde sulla manina della fanciulla stesa sulla sponda del sofà.
Cecilia sentendo quella goccia ardente, aperse alquanto gli occhi; ma Pery non vide il moto, perchè già si era voltato e si avvicinava a don Antonio de Mariz.
Il fidalgo, seduto sulla sua poltrona, lo ricevette con un mesto sorriso.
— Tu soffri? gli domandò l’Indiano.
— Per loro, per essa specialmente, per la mia Cecilia.
— Per te no? disse Pery con vivacità.
— Per me? Darei la mia vita per salvarla; e morrei felice!
— Ancorchè ti chiedesse di vivere?