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quenza, che le selve, i monti e tutta la natura nuotavano in un oceano di fuoco.

Nello spazioso porticato della casa tre persone stavano contemplando con certo piacere questa lotta spaventosa degli elementi, che quantunque non insolita per loro, non lasciava di avere un certo che di sublime.

Uno di questi, tarchiato, basso di statura, giaceva disteso in un’amaca; colle gambe incrociate e le braccia sul petto usciva in un’esclamazione ad ogni nuova rovina prodotta dalla tempesta.

Il secondo era appoggiato a una delle colonne di legno brasile, che sostenevano il tetto del porticato; era un uomo un po’ bruno, intorno ai quarant’anni, con una fisonomia che molto arieggiava il tipo della razza ebrea; tenea gli occhi fissi sopra un sentiero che serpeggiava in faccia alla casa, fino a perdersi nel bosco.

Rimpetto a lui, pure appoggiato ad altra colonna, vedeasi un frate carmelitano, che accompagnava con un sorriso di intima soddisfazione il progresso della burrasca; il suo volto, bello, con lineamenti vigorosi, animavasi in quel momento d’un raggio d’intelligenza, e d’una espressione d’energia che rivelava il suo carattere.

Al veder quest’uomo sorridente in faccia alla bufera, e che affrontava collo sguardo il chiarore dei lampi, scorgeasi che la sua anima avea una forza di risoluzione, una volontà capace di tentare l’impossibile, e di lottare contro il cielo e la terra per conquistarli.