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vista che sa indagare minutamente le ombre degli alberi, e discernere gli oggetti tra il denso delle frondi.

Alvaro possedeva questo dono degli abili cacciatori; e perciò, appena il vento gli portò un suono di foglie secche calpeste, alzò il capo, e diede un’occhiata all’ingiro: dipoi per prudenza si accostò al grosso tronco di un albero isolato, e incrociando le braccia sopra la sua carabina, aspettò.

In quella posizione l’inimico, qualunque si fosse, fiera, rettile o uomo, non potea assalirlo se non di faccia; egli lo vedrebbe avvicinarsi e lo riceverebbe.

Loredano, acquattato tra le frondi, avea veduto questo movimento ed esitava; ma il suo secreto era in compromesso, e il sospetto conceputo che Alvaro fosse colui che l’avesse minacciato colla parola traditori, il confermava del tutto in questo pensiero, scorgendo la prudenza con che il giovane evitava una sorpresa.

Il cavaliere era un nemico terribile, e maneggiava tutte le armi con una destrezza ammirabile.

La lama della sua spada somigliava a un serpe elastico, flessibile, rapido, che volteggiava sibilando, e lanciava il colpo colla rapidità e la sicurezza del serpente a sonaglio.

Il pugnale, vibrato dal suo braccio leggiero, aiutato dall’agilità del suo corpo, era come un fulmine che tracciava nell’aria una croce di fuoco, e cadendo sul petto dell’inimico lo atterrava di botto.