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Ecco in che modo frate Angelo trovavasi, sotto il suo nuovo nome di Loredano, aggregato alla casa di don Antonio de Mariz, e intento ad effettuare alla fine quel disegno, che era il pensiero di tutti i suoi istanti.

Era un anno che stava aspettando, e com’egli diceva, in angustia; alla fine avea deciso di menare il colpo: e però, dopo aver atterrito i suoi due complici con quella minaccia, dopo averli ridotti allo stato di automi, sì che obbedissero a’ suoi ordini, al suo cenno; capì che era conveniente dar animo a quei manutengoli con qualche sentimento, che loro infondesse l’ardire, l’audacia e la forza necessaria per gettarsi ad occhi chiusi nella voragine, e non tremare dinanzi a verun ostacolo.

Questo sentimento fu l’ambizione.

Alla vista dell’itinerario era impossibile che non sentissero quella febbre di ricchezza, quella auri sacra fames, quella vertigine che si era impossessata di lui stesso, nell’atto che vide aprirsi avanti allo sguardo un mare di argento fuso, in cui i suoi labbri potevano spegnere l’ardente sete che lo divorava.

L’effetto non ismentì la sua previsione; udendo leggere quella vecchia pergamena, ciascuno degli avventurieri restò come ammaliato; per toccare a quell’abisso inesplorabile di ricchezze, niun di loro avrebbe più esitato a passare sul corpo del proprio amico, o sulle ceneri di una casa, o sulla rovina di una famiglia.