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Nel mezzo di queste riflessioni un fatto venne a produrre una completa rivoluzione nelle sue idee.
Vide Cecilia.
L’immagine di quella vezzosa fanciulla, casta e innocente, produsse nel suo organismo fervido, e per molto tempo compresso, lo stesso effetto che una scintilla lanciata sopra la polvere.
Tutta la continenza della sua vita monastica, tutti quei desiderii violenti, che il suo abito, a guisa d’uno strato di ghiaccio, tenne coperti, tutto quel sangue vigoroso e forte d’una giovinezza consunta in vigilie e astinenze, rifluirono al cuore e quasi lo soffocarono per un istante.
Dipoi un’estasi di voluttà immensa invase quell’anima anticata nella corruzione e nel delitto, ma vergine nell’amore. Il suo cuore rivelavasi con tutta la veemenza di quella volontà audace, irremovibile, che era il motore della sua vita.
Sentì che quella donna era tanto necessaria alla sua esistenza, quanto il tesoro che sognava; esser ricco per lei, possederla per gioire della ricchezza, fu da indi in poi il suo unico pensiero, la sua idea dominante.
Uno degli avventurieri lasciava la casa; Loredano sollecitò il suo posto, e lo ottenne, come testè vedemmo; il suo disegno era tracciato.
Qual fosse, già lo sappiamo dai casi passati; Loredano divisava farsi padrone della banda, insignorirsi di Cecilia, andare a quelle miniere incantate, caricare tanto argento quanto potesse