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L’azzurro e il bianco erano i colori di Pery; erano i colori degli occhi e del viso di Cecilia.
Un dì la fanciulla, somigliante a una gentil castellana dell’età di mezzo, erasi divertita a spiegare all’Indiano come i guerrieri che servivano una dama, usavano portare nelle armi i colori di lei.
— Tu dai a Pery i tuoi colori, signora? disse l’Indiano.
— Non ne ho, rispose la fanciulla; ma voglio cercartene qualcuno; lo vuoi?
— Pery te lo chiede.
— Quali pensi essere i migliori?
— Quelli del tuo volto e de’ tuoi occhi.
Cecilia sorrise.
— Prendili; te li do.
Da quel giorno Pery fregiò tutte le sue saette di penne azzurre e bianche; i suoi ornamenti, all’infuori di una fascia di penne scarlatte tessuta da sua madre, erano ordinariamente degli stessi colori.
Fu per questo che Alvaro vedendo le penne della saetta, si tranquillò; conobbe ch’era di Pery, comprese il senso di quella frase simbolica, che l’Indiano gl’inviava per l’aria.
Infatti quella freccia, nel linguaggio di Pery, non era se non un avviso dato in silenzio e ad una gran distanza; una carta, un messaggiere muto, una semplice interiezione: Alto!
Il giovane si tolse dalle sue meditazioni, e gli sovvenne di ciò che Pery gli avea detto il mattino;