Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
— 136 — |
vea amato; e questa scoperta la faceva nel giorno stesso che don Antonio de Mariz gli dava la mano di sua figlia!
Sotto il peso di quest’immenso cordoglio, com’è sempre il primo affanno del cuore, il cavaliere appartossi pensieroso, col capo basso; camminò senza direzione, seguendo la linea tracciatagli dai gruppi delle piante qua e là sparsi pel piano.
Stava quasi per annottare: l’ombra squallida e scolorata del crepuscolo stendevasi come un manto di gaz sopra la natura; gli oggetti andavano perdendo la loro forma, il loro colore, il loro aspetto vivo e animato, e ondulavano nello spazio vaghi e indecisi.
La prima stella immersa nell’azzurro del cielo splendeva di furto, come gli occhi di una fanciulla che si aprono al suo destarsi e si chiudono di nuovo pel troppo chiarore del giorno; un grillo ascoso nel tronco di un albero cominciava le sue stridule note; era l’insetto trovatore che salutava ravvicinarsi della notte.
Alvaro continuava il suo passeggio, sempre pensieroso, quando d’improvviso sentì come una corrente d’aria lambirgli la faccia; alzando gli occhi videsi innanzi una lunga freccia confitta nel terreno, che ancora oscillava pel moto impressole dall’arco.
Il giovane retrocesse d’un passo e portò la mano alla cintola; ma subito, riflettendo, si accostò alla saetta ed esaminò le penne di cui era adorna; erano da un lato penne di azulao e dall’altro di cigno.