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In quell’istante Ayres Gomes apparve nel vano della porta e rimase stupefatto.
Ciò che allora vedeva, era per lui una cosa incomprensibile, un enigma insolubile; noi stessi, che assistemmo alla scena fin dal suo cominciare, abbiamo bisogno di sapere qualche altro accidente per meglio intenderla.
Il mattino, dopo colazione, don Antonio de Mariz, facendosi a una finestra della sala, avea veduto un gran nugolo nero gettarsi sulla riva del Paquequer.
La quantità degli uccelli di rapina, onde si componeva quel nugolo, indicava che il pasto era abbondante; dovea essere uno o molti animali di gran corpo.
Mosso da quella curiosità naturale in un uomo, che passava la vita sempre eguale e senza variazioni, il fidalgo prese le sue armi e discese al fiume; incontrò vicino al capanno di gelsomini, che serviva di casa da bagno per Cecilia, una piccola piroga su cui passò alla riva opposta.
Scoprì colà i corpi de’ due selvaggi, che tosto s’accorse appartenere alla razza degli Aimorè; vide ch’erano stali uccisi con arma da fuoco.
In quel momento non pensò ad altro, se non che i selvaggi eran venuti per avventura ad assaltare la sua casa; e un terribile presentimento gli strinse il cuore.
Don Antonio non era superstizioso; ma non potè non provare un vago timore, quando seppe dell’uccisione fatta involontariamente o per manco