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Pallido, cogli occhi ardenti e i denti chiusi, sospeso sopra il precipizio, seguiva i più piccoli moti di quell’ombra.

Vide un braccio che stendevasi alla finestra, e una mano che lasciava sul davanzale un oggetto, tanto piccolo da non potersene discernere la forma.

Alla manica larga del vestito, od anzi per istinto, Loredano indovinò che quel braccio appartenera ad Alvaro; e immaginò tosto che cosa la mano avesse posto sulla finestra.

Nè s’ingannava.

Alvaro, assicurandosi a un fragile palo del giardino, e posto un piè sopra il piano inclinato, applicò il corpo alla parete, e chinandosi pervenne ad effettuare il suo intento.

Dipoi si partì, agitato a vicenda e da tema per l’azione che avea commesso, e da speranza che Cecilia gli perdonerebbe.

Loredano, non sì tosto vide scomparir l’ombra, e udì l’eco dei passi del giovane, che ripercuotevansi sordamente nel fondo del precipizio, sorrise.

La sua bionda pupilla brillò nelle tenebre, come gli occhi dell’hiràra1.

Trasse fuori la daga, e la piantò nella parete tanto lontano, quanto permettavalo la curva, che il suo braccio era costretto a fare per abbracciar l’angolo.

  1. Specie di gatto selvaggio, indigeno del Brasile.
Vol. I. 6