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condizioni, sarebbe occorso qualche avvenimento straordinario, un fatto che alterasse completamente le leggi della società, in quel tempo più rigorose che oggi; facea mestieri di una di quelle situazioni, in faccia alle quali le persone, qualunque sia la loro gerarchia, nobili e plebee, si pareggiano, e discende o sale lo stato degli uomini.
L’avventuriere ben ciò comprendeva; e forse già avea meditato profondamente su questo punto importante. Frattanto sperava, e sperando vigilava sopra il suo tesoro con un zelo e una costanza a tutta prova; i venti giorni passati al Rio de Janeiro erano stati per lui un vero supplizio.
In Alvaro, cavaliere gentile e cortese, quel sentimento era un’affezione nobile e pura, piena di quella graziosa timidezza, che profuma i primi fiori del cuore, e di quell’entusiasmo cavalleresco, che infondeva tanta poesia negli amori di quel tempo, così singolare per cortesia e lealtà.
Sentirsi vicino a Cecilia, vederla e scambiare qualche parola a stento balbettata; arrossire ambedue senza sapere il perchè, e sfuggirsi col desiderio d’incontrarsi; era tutta la storia di quell’affetto innocente, che si affidava tranquillamente al futuro, librandosi sulle ali della speranza.
Questa notte Alvaro faceva un passo, che, nella sua abituale timidezza, paragonava quasi ad una domanda formale di matrimonio; avea risoluto di far accettare alla fanciulla, anco a suo malgrado, il presente che avea ricusato, ponendolo