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Lunghi orecchini d’oro con pendenti di smeraldo, che le battevano quasi sulle spalle, e un monile con una croce d’oro al collo, erano tutti i suoi ornamenti.

Quanto alla sua indole, già dicemmo che era un misto di alterigia e di bacchettoneria; lo spirito di nobiltà, che in don Antonio de Mariz rialzava il suo carattere, convertivasi in lei in una esagerazione ridicola.

Nell’eremo in cui si trovava, invece di studiarsi a far isvanire un poco la distinzione sociale che potea esservi tra lei e la gente fra cui viveva, prevalevasi al contrario del fatto di essere l’unica dama fidalga del luogo, per abbassare gli altri colla sua superiorità e regnar dall’alto della sua seggiola con baldacchino, che per lei era quasi un trono.

In materia di religione accadeva lo stesso; e uno dei maggiori dispiaceri che provava in quella vita di solitudine, era il non vedersi accerchiata da tutto quell’apparato di culto, di cui don Antonio, come gli uomini di una fede robusta e di uno spirito diritto, avea saputo far senza.

Malgrado questa differenza di carattere, don Antonio de Mariz, fosse indulgenza o severità, vivea in perfetto accordo con sua moglie; procurava di soddisfarla in tutto, e quando non era fattibile, esprimeva la sua volontà in un certo modo, che la dama accorgeasi immediatamente che era inutile resistergli.

Solo in un punto la sua fermezza era stata