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Giungeva intanto il suo vago cavaliere, e le tergeva le lacrime, e sentivasi consolata e rideva di nuovo; ma conservava pur sempre un velo di malinconia, che solo a poco a poco la sua indole gaia riusciva a discacciare.
A questo punto del suo sogno la porticina interiore del giardino si aperse, e un’altra fanciulla, sfiorando appena l’erba col lieve suo piede, avvicinossi all’amaca.
Era un tipo al tutto differente da quello di Cecilia; era il tipo brasiliano in tutta la sua grazia e venustà, con quell’incantevole contrasto di languore, di malizia e di vivacità ad un tempo.
Gli occhi grandi e neri, il viso bruno e rosato, i capelli neri, le labbra disdegnose, il sorriso provocante davano a cotesto viso un potere di seduzione irresistibile.
Arrestossi in faccia di Cecilia, mezzo distesa sull’amaca, e non potè sottrarsi all’ammirazione che le inspirava quella bellezza dilicata, di contorni tanto soavi; e un’ombra impercettibile di cosa che parve dispetto, si pinse sul suo viso, ma svanì subito.
Si assise in uno dei lati dell’amaca, chinandosi sopra la fanciulla per baciarla o vedere se dormiva.
Cecilia, sentendo quel po’ di crollo, aperse gli occhi e li affisò nella sua cugina.
— Scioperatella!... disse Isabella sorridendo.
— È vero! rispose la fanciulla, vedendo le grandi ombre proiettate dagli alberi; è quasi notte.