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stante nel mezzo del suo corso; dipoi raccogliendone il corpo ancora palpitante, e trattane la freccia, lasciò cadere sui denti della tigre le goccie di quel sangue caldo e fumante.
Non sì tosto la moribonda fiera sentì l’odor della carne e il sapore del sangue, che filtrando fra le zanne le entrò in bocca, fece una contorsione violenta, e volle mettere un urlo, che si perdè in un gemito sordo e soffocato. L’Indiano sorrideva vedendo gli sforzi che faceva per rompere le corde che la stringevano in modo da impedirle ogni moto, eccetto que’ contorcimenti di corpo in cui invano si dibatteva.
Per cautela aveale strette sin le dita le une alle altre per impedir che adoprasse le unghie lunghe e ritorte, che sono la sua arma più terribile.
Per un Europeo di passaggio in quel momento sarebbe stato spettacolo singolare veder quell’Indiano sottile di persona, dell’età al più di vent’anni, appoggiato sul suo lungo arco, tenere ai piè domato e virato quell’animale di una forza prodigiosa, quel re delle foreste americane.
Soddisfatto il piacere di contemplare il suo schiavo, l’Indiano spezzò nel bosco due rami secchi di biribà1, e strofinandoli rapidamente l’uno contro l’altro, trasse fuoco con quell’attrito,
- ↑ Il biribà era un albero, da cui gli indigeni traevano fuoco per mezzo dell’attrito, strofinando l’un pezzo contro l’altro.