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Come a principio, l’Indiano avea piegato un po’ i ginocchi, tenendo saldo nella sinistra il forcone, sua unica difesa; gli occhi sempre fissi magnetizzavano la fiera. Nell’atto che la tigre si spiccò, curvossi ancora più; e scansandosi col corpo, appresentolle i due rebbi.

Questi due movimenti furono quasi simultanei e tanto rapidi, che appena si distinse l’urto dei due corpi; la tigre cadendo colla forza del proprio peso e del salto contro quella croce che serrolle il collo, vacillò. Allora il selvaggio, tendendo il corpo colla flessibilità del serpente a sonaglio che scaglia il colpo, puntando i piè e le spalle nel tronco, lanciossi d’un balzo e cadde sul ventre della tigre, che soggiogata, stesa supina, colla testa confitta al suolo sotto il forcone, dibatteasi contro il suo vincitore, procurando aggrapparlo, ma invano, colle zampe1.

Questa lotta durò mezz’ora; l’Indiano co’ pie aggravati fortemente sulle due gambe della tigre, e il corpo inclinato sul forcone, tenea in tal modo immobile quella fiera, che poc’anzi correa la foresta senz’incontrare ostacoli sul suo passaggio.

Allorchè s’accorse che era quasi soffocata per

  1. Questo modo di cacciare la tigre, che a molti parrà incredibile, è riferito da Ayres do Casal nella sua Topographia Brasilica. Ancora al dì d’oggi vi sono di quelli che cacciano nelle grandi foreste col forcone, con poco rischio o difficoltà: tanto vi sono assuefatti.