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cata dall’Indiano andò a configgersele nell’orecchio; e poscia una seconda partita colla stessa rapidità le ferì la mandibola inferiore.

La tigre si era voltata minacciosa, terribile, aguzzando i denti l’un contro l’altro, ruggente di furia e di vendetta: in due salti avvicinossi di nuovo.

Era una lotta mortale quella che stava per impegnarsi; l’Indiano lo sapea, e aspettò tranquillamente come la prima volta; l’inquietudine per un momento, che gli sfuggisse la sua preda, si era dileguata: rimase soddisfatto.

Questi due selvaggi pertanto delle foreste del Brasile, ciascuno colle sue armi, ciascuno colla coscienza della propria forza e del proprio coraggio, guardavansi reciprocamente come una vittima che dovea essere immolata.

La tigre questa volta non esitò: appena si vide a una distanza di quindici passi dal suo avversario, si contrasse con una forza di elasticità straordinaria, e scattò come una scheggia di roccia schiantata dal fulmine.

Avventossi contro l’Indiano sostenuta sulle larghe zampe posteriori, col corpo diritto, le unghie sguainate per isgozzarlo, e i denti pronti per troncargli la giogolare.

La rapidità di questo salto mostruoso fu tale, che al tempo stesso in cui si videro luccicar tra le foglie i riflessi neri della sua pelle, la fiera già toccava il suolo colle zampe.

Ma stavale di fronte un avversario non meno terribile per la sua forza e agilità.