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contro gli assalti degli Indiani, col far steccati e riunirsi l’un l’altro per difesa comune, nei casi di pericolo venivano sempre a ripararsi nella casa di don Antonio de Mariz, la quale facea perciò l’ufficio di un castello feudale dell’età di mezzo.

Il fidalgo li riceveva da persona doviziosa, debitrice di protezione e asilo a’ suoi vassalli; li soccorreva in tutte le loro necessità, ed era stimato e rispettato da tutti quelli, che confidando nella sua vicinanza andavano a stabilirsi in quei dintorni.

Oltre gli avventurieri, il più prossimo abitante di quel luogo era un cavaliere portoghese, Marco de Costa, amico di don Antonio, che avea posta la sua dimora a tre leghe di distanza sulle rive del Parahyba.

Di tal modo, in caso di assalto da parte degli Indiani, gli abitanti della casa del Paquequer non potevano far assegnamento che sulle proprie forze; e a quest’uopo don Antonio, come uomo pratico e assennato, erasi premunito contro qualsivoglia occorrenza.

Come tutti i capitani di scoperte in quei tempi di colonizzamento, teneva anch’egli una banda di avventurieri, che gli servivano nelle sue esplorazioni e correrie nell’interno del paese: erano uomini audaci, imperterriti, che accoppiavano la forza e l’industria della gente incivilita all’astuzia e all’agilità degli Indiani; erano una specie di guerrilheiros, soldati e selvaggi ad un tempo.

Don Antonio de Mariz, che li conosceva, avea