Questa ingenita brama ed indomata
Non d’allettare ingenerosi sonni,
Ma di pugnar anch’io le mie battaglie
Con la spada del canto. Oh! mi sia dato
Tanto di vita e di quest’arte mia,
Che un dì si possa dir sul mio ferètro:
"Ella fe’ batter nobilmente il core
Di santi sdegni, e confortò di speme
La mesta gioventù de la sua terra."
Rapir mi sento ne lo incerto e fresco
Mattin del tempo; e vedo intra la verde
Primavera del mondo assüefatto
A gli Angeli, sorridere l’idillio
Patrïarcale; e sotto l’ampia quercia
D’ombra a le tende liberal, sedersi
I vïator del paradiso, e all’uomo,
Come ad amico porgere la mano,
Che avea pugnato ne’ remoti giorni
Contra Sàtana, e vinto: e su la sera
Movere gruppi di fanciulle uscite
A coglier acqua da le fonti, dove
I primi udian propositi di nozze
Da pastori stranier, ch’ivi le mandre
Traeano a beverar. Veggo una furia
Di cacciatori, l’inguine coperti
D’ispide pelli, scorrazzar pel fitto
De le vergini selve, e scoter l’eco
Con fiere urla e col suon de la faretra,
Sfidatori di Dio. Ma se ruina
La folgore improvvisa, esterrefatti
Ire per gli antri a consultar le scarne
Incantatrici ed intristir di rozze