Dell’italica pena esecutrice;
Amarissima e lunga era già vòlta
L’Odissea degli umani.
Aura, che cingi
Arcanamente, come fascia d’Isi,
Il gemello pianeta, e tu mi narra
Quanto cozzo di spade, e polveroso
Cader di troni, e canti ed eloquente
Suono di lingue ignote a noi, per quella
Lontananza di giorni ài ripetuto.
Schiere di stelle, che passate, eterne
Scòlte del cielo, mi narrate voi
Quante carole mistiche, e convegni
Di congiurati, e svolgimenti occulti
Di terribili drammi; quanti strali
D’occhi lascivi o lagrimosi, in quelle
Antichissime notti illuminaste.
Che se qualche ispirata orfica lira
Raggiò per quella tenebría di tempi
Con la luce del canto, a noi conteso
Moriva in solitudine il poema
Rivelatore. E l’insepolto fusto
Di solinga colonna unica resta
Ricordanza talor d’un Dio caduto,
D’un imperio che fu. Talora un roso
Marmo, segnato di parole strane
Al pellegrino sapïente indarno,
Dice che fuvvi un idïoma arcano,
Onde vennero un di certo vergate
Prose di storia od elegíe d’amore,
E d’antiche battaglie inni perduti.