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le prime storie. 31

Da lïoni i suoi padri... A piene mani
D’elleboro spargiamo e d’infingardi
Papaveri la via.
                              Tutti passaro!
Musa, ove sei? Dove se’ tu, segreto
Spasimo e orgoglio mio? Forse e tu pure,
Fedelissima ieri, oggi l’amara
Del tuo cantore povertà rifuggi
E l’iroso abbandono? Oh! non a questo
Educata io t’avea, Musa dei forti
Afflitti amica. Vedila che siede,
Schiva del rombo de le vie frequenti,
Colà sul prato, ed a corona intreccia
Ramoscelli di quercia e di cipresso;
E al firmamento che si va stellando
Col tremolo di pianto occhio dimanda
Quando torni l’antico astro d’Ausonia.

Cessa il pianto, o dolente; a me t’appressa,
E del tuo serto, simbolo severo
Di fortezza e di morte, il crin mi cingi.
Non sono il primo, e non sarò l’estremo
Coronato che mèndica. Conforto
Chiediamo agl’inni: una gentile, arcana
Corrispondenza fra il dolore e il canto
I celesti ponean, però che tutti
Gli sventurati cantano. Ma lunge,
Lunge da noi le nebulose e viete
Favole d’un Olimpo inverecondo,
Che sotto il vel d’insuperate forme
La greca arte serbò. Non è più tempo
D’ardere incensi a Dëità defunte.