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un’ora della mia giovinezza. |
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Come la grandin fa sopra i ricami,
Che fra due rose tendono gl’insetti.
Nè del mio carme la mercè superba
Sognai d’un nome. E che gli cal d’un nome
All’usignolo? Per gentile istinto
Modula il verso come Dio lo vuole,
Parla all’erbe, a la luna, a la tacente
Selva: contento se nei ciechi stagni
La rana intanto si ristà dal metro:
Poi torna al nido, che intrecciò, presago
De le terrene vanità, con secche
Foglie d’alloro.11
E da quel dì t’amai
Vergine. E nato di virile affanno,
Mesto crebbe e virile il nostro amore,
E di te indarno ingelosîr le belle
Crëature, che un dì mi seminaro
Di vipere e di fior la primavera
Della mia vita; e stettero per anni
Del mio riso signore e del mio pianto
Dolcezze occulte ebbi di te, sorella,
Note a pochi quaggiuso. A te fidai
Speranze audaci, illusion d’amore,
E segreti da morte. E tu pulisti
Il verso, come si pulisce un’arma:
E tendesti dell’arpa in fra le corde
Corde d’un arco di battaglia antico,
Acciò non molle o querulo vagisse
L’inno; ma säettasse. E mi dicevi
Che mai non fôra un’anima codarda,
Anima di pöeta, e che sua legge
È caritade: suo perpetuo fato