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un’ora della mia giovinezza. |
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VIII.
E da quel dì cantai. L’amor, la morte,
La natura, il dolor, gl’innumerati
Mondi e la patria miseranda; tutte
Le benigne potenze e le sinistre
Del crëato m’indussero l’olimpia
Febbre dei carmi; e ricusâr la veste
Che non fosse armonia, che non di rime
Sonasse ordita. e di cadenze elette.
E misurati sul veloce o lento
Ritmo del core eruppero i solinghi
Canti e l’estro. Ma fioca e pudibonda
Soltanto a’ rai de le indulgenti stelle
Dall’inesperto labro uscía la voce,
Tanto che niuno, tranne Dio, l’intese.
Bëate ore e tremende, allor che i campi
Del Vero austeri discorrea la mente
A spigolar qualche non tocco fiore
Di poesia nascoso, e nei silenzi
Origliava a raccorre un suono, un’eco
Dell’inno eterno, che Natura manda
Al Crëator! Allor che in regioni,
A’ ribaldi inaccesse o a la fortuna,
Ella vedea danzar i sospirati
Fantasimi del Bello, e disperando
Significarne le fuggenti grazie
Piangeva. E quella lagrima piovuta
Sopra la trama di sottil lavoro
Incominciato, ne sperdea le, traccie;