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un’ora della mia giovinezza. 13

E brillante di folgori; nè il sole
Fronte più vasta illuminò giammai
Di quell’itala fronte. Ardeagli i polsi
La febbre lëonina del trïonfo;
E con repressa bramosia guardava,
Come fa l’uom di Corsica, se attende
Fra le macchie il rival. Se non che inveco
A cielo aperto su gli aperti campi
Egli attendea popoli e re. Pöema
Nuovo fu la sua vita; ed ogni canto
Fu canto di battaglia. Or dopo lui
Cavalcava la morte. Era il tramonto,
E il popol vinto da la immonda arena
Alzava il dito ad impetrar la vita,
Gladiator moribondo. E quel fatale
Spronò il corsiero; e come procellaria
Sull’antenna di naufrago vascello,
Da sommo l’arco del conteso poggio
Cessò la strage con lo sguardo. E il vasto
Anfitëatro risonò di lunghi
Plausi iterati e di percosse palme.
Poi fu silenzio, e tutto sparve, tranne
Quella mèsse di morti. Una campana
Da Rivoli sonò l’avemmaria:
Allora io vidi aerea vïatrice
Uscir dal tempio de la sua Corona,
Cinta d’un nimbo d’iridi, la diva
Signora di quei monti; e avea sembianza
Di verginella che non sa del mondo.
Ma posto il piè di luce in su quel campo
Insanguinato, smisuratamente
Si dilatâro le stellate falde
Del suo manto di ciel, così che tutto