Pagina:Aleardi - Canti, Firenze 1899.djvu/525


poemetto giovanile. 485

Giungo scortese. — Non fu già mia colpa.
Pria di condurti al desïato Aremme,
Io ti cercava un dono, unico in terra,
Che vincesse ogni gemma d’Orïente.
Eccolo; e in esso il mio perdono.”
                                                                 E alzato
     Da quel bacile il vel, mise un orrendo
Riso, e di Nello discovrì la testa
Sanguinolenta.

                           Motto non rispose
L’inorridita vergine; nel volto
Non si mutò: si genuflesse, e al Dio
De’ suoi padri il sereno occhio volgendo,
Tolse un’arma dal cinto, e con la breve
Canna dentro a le polveri serbate
Placidamente fulminò la palla.
E viventi, e cadaveri, e chi fea
Patire, e chi pativa, e le rapaci
Galee, che a tanti affanni erano scena,
Sparvero avvolti dentro un mar di foco,
Quale fra sonni päurosi un’egra
Visïon di dolor. — Lacere l’onde
S’allontanâr in spumeggianti giri:
Per vasto tratto da le ardenti e rosse
Aure discese e crepitò sull’acque
Una pioggia di brage e di squarciate
Membra e di tronchi d’arbore fumanti.

     Tutto passò. — La calma, che precede
L’alba, sorride su la molle baia:
Riede pel terso aere il silenzio; e lungo