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poemetto giovanile. 479

Un accorrer pel cieco aere di genti.
A quando a quando di fulminea canna
Lo scoppio; un grido di morenti e un tonfo
Pei gorghi bruni di cadute salme.

     Oh! qui di sotto ne la buia stiva,
Chi muor? chi vive? e quale mai di sangue
Misterïoso dramma ora si compie?
Nello, non senti che qua giù si grida
In tua lingua natía? Rupper le funi
Gli schiavi. — De la carcere il lïone
Franse i cancelli, e rugge e all’atterrito
Domatore s’avventa e lo divora. —

     Come la turba dei mentiti amici,
Fugge dall’uomo sventurato il sonno;
E se lasso talora ei s’addormenta,
Fantasimi deformi e tenebrosi
Con gli occhi dell’afflitta anima vede,
Tale su quelle povere di Cipro
Un sopor faticoso era disceso,
Allor quando il fragor de la rivolta
Le riscosse: e balzâr per la tenèbra
Confuse in päurosi abbracciamenti.
Crebbe l’impeto e l’ira. — Una percossa
Fiaccò la porta de la muda; e amica
Voce sonò, che disse a le tremanti:
“Libere! uscite — e combattete.” — Un motto
Scambiò le cerve in lëonesse. Usciro
Rapide, risolute... a che?... non sanno.
Ma fosse pure a scendere d’un salto
Nel fondo a una voragine... non monta:
Chè nel periglio v’è un’altera ebrezza,