Pagina:Aleardi - Canti, Firenze 1899.djvu/507


poemetto giovanile. 467

E nel tramonto del pensier ti tolse
A la veduta di sì ree giornate!”

     Se piomba la sventura in cor gentile,
Ne trae tesori che nei dì felici
Ignorava d’aver, e più benigno
Lo rende agli altrui mali. E quella pia,
Fatta siccome immemore del suo
Infinito martír, qual fa una madre
Con malato figliuol, le accarezzava
Il fronte, il collo, il crin.
                                                        E le memorie
Agitavano Actea: — “Pria di lasciarmi,
Anco un bacio, amor mio; come sei bello!
Come ti ride su la nobil fronte
Scintillando il cimiero! — A me, fanciulle,
Venite a me, spose di Cipro! Avreste
Veduto al mondo mai re da corona,
Che la porti sì ben, come il mio sposo
Porta il cimiero? Oh nol guardate! io sono
Una fiera gelosa... Oh parti e pugna,
E riedi; incontra io ti verrò sul ponte...
Eterna è un’ora ch’io l’attendo, e ancora
Non torna....

                       “È morto, e non tornano i morti....
Chi mi parla di morte? Oh maledetta
Questa voce crudel! — Per l’oppressore
Odïoso al Signor, non ei la spada
Servile assunse: ma v’è un tetto, ov’egli
Nacque; v’è un’ara, ove pregò fanciullo,
E mi diè la sua gemma; àvvi una breve
Culla, che dentro un’innocente accoglie
Creatura di rosa; un’infinita