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464 arnalda di roca

Spoglie dei templi, e misti a le gemmate
Armi, ed ai vezzi a la beltà sì cari,
Quei voti, che nel dì del superato
Periglio, al santo del suo cor, contenta
L’anima appende.

                               Povere colombe!
Quale vi trasse da gli aperti campi
Fatalitade di tempesta al covo
Proprio del nibbio qui? Ier ne le case
Libere ancora, ancor dolce e superba
Esultanza di pie madri, e desío
Di giovinetti verecondi; ed oggi
Sì profondo cadute!... e diman forse
Vituperate... Oh! chi gli atroci e lunghi
Patimenti può dir di questo nido
Di caste ed immortali anime tratte
Come mandre al mercato?

                                            Alcune assise
Col guardo immoto, il volto infra le palme,
Giacean come impietrite; altre furenti,
Piene le pugna di strappate chiome,
Forsennate correan; chi genuflessa
Pregava; chi parea morta; ed alcuna
Su le tavole roride di pianto
Si rotolava disperatamente.
Pur se un lieve sonava urto a la porta,
Tutte volgeansi a quella banda, quasi
Per là dovesse entrar il vitupero.
Oh quante angosce in quelle paurose
Pupille nere; in quei tremuli labbri
Illividiti; in quelle mani al petto