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462 arnalda di roca

Mirti perenni, e pallide lavande
Fanno siepe a le rive; un’odorosa
Selvetta miri fluttuar di cedri
Su le eminenze, e quasi a guiderdone
De le frescure onde le fu cortese,
Sopra il suggetto mar, che la riflette,
Sparge il profumo de le sue corolle.

     Forse quelle galee, come una coppia
Peregrina di cigni, a tanto d’acque
Paradiso e di campi innamorata,
Qui l’àncora gittâro.

                                        Oh, tu non sai
Qual carico di pianto e di peccato
Portin quelle galee!

                                      Là, su la rupe
Che al mar s’affaccia, da le crocee foglie
Di selvatica vite inghirlandata,
Sali. — Non odi dal navil, che posa
Cheto nel mezzo del suggetto golfo,
Secondo la raminga òra lo porta,
Sollevarsi un lamento? Ivi legata,
Quasi rea da patibolo, si accalca
Prode una gente. A lei sui vinti muri
E su le soglie dei polluti lari
Fin la morte fallía. — Poveri egregi,
Che faranno dolenti e popolosi
I mercati di Galata! L’orecchio
Porgi di nuovo; non t’arriva un cupo
Fremito e un urlo? — Su le ignude schiene
Dei galeotti sibila cruento,
L’onta mescendo col dolore, il nervo.