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460 arnalda di roca

Le sorelle di fama e di sventura
Isole dell’Egeo, superbamente
Egli è splendido allora! Ei, le solinghe
Colonne d’Elio, che fu sua cittade,
E i rovinosi simulacri, a cui
Fallîr da mille e mille anni i divoti,
De la luce più limpida colora.
E le mobili spume, onde s’imbianca
L’azzurro piano, imporporando irradia,
Sì che pare al rapito navigante
Reggere il pino dentro un flutto d’oro.
Danzan sull’onda con le argentee schiume,
Tratti al desio de la morente luce,
Fuggitivi i delfini, e la conchiglia
Schiude le valve per dar loco al raggio
Che le accarezzi la gentil sua perla!
È l’ultim’ora d’una festa. Il crine
Sparso di rose fulgide, nell’acque
Discende il re. La festa è consumata.
Una dolce quïete, una mestizia
Posa nell’aure e sull’oceano. Allora,
Come al passar d’un re per una villa
S’accendon lampe ne le vie notturne,
Via per le sfere un cherubin aleggia
E illumina le stelle e de la luna
Il niveo faro, perocchè si svela
Più maestoso ne la notte Iddio.
Oh, come è caro il dì che muore, e i bruni
Piani saluta dell’immenso mare!

     Ma tal non è per l’esule che triste
Solca pelaghi ignoti, ignoto ei pure
E sospettoso, e la memoria il punge