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un’ora della mia giovinezza. |
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Reca a le torri de la mia Verona;
Poi volge con allegro impeto al mare
E a le procelle. Di lontano il rauco
Canto venìa d’un carrettier tedesco
Giù per la china, e mesto era. Ei pensava
Forse a’ suoi monti, e a un tetto acuminato,
Ove una bionda vergine sedea
Filando i lini per le attese nozze.
Ed io guardava a i colli ermi, e a la villa
Poveretta di Rivoli, nel tristo
Libro dell’uomo che si chiama Istoria,
Scritta con segni di color di fuoco;
Però che un giorno immansueta e bella
Dea la vittoria scese; e per quei poggi,
Raccolti i crini nel berretto frigio,
Danzò la danza pirrica su metro
Repubblicano. E poi che vide il niveo
Piè nel tripudio rosseggiar di sangue,
Come rosseggia a’ dì de la vendemmia
La pigiatrice: ai nitidi lavacri
Calò del fiume, e si deterse e rise
Ferocemente, perchè l’onda mista
Ad alemanne lagrime correa.
La prima volta allor sentii con fieri
Bàttiti arcani martellarmi il core
Superbamente; e via pel dilatato
Cielo dell’inquïeta anima mia
Venian fuggendo a nuvole pensieri
Novi, confusi, vagabondi, come
Ne’ scompigliati dì de le burrasche
Passan augelli non veduti in pria.
Con mille voci il sottoposto fiotto
Mi susurrava nobili racconti