Lieve ma sacra eredità del mio
Brando, netto di colpa, e di viltadi....
A le tue man lo fido.... Oh, qui da canto
Chi è che geme?.... o figlia.... o figlia mia....
Qui t’appressa; mi bacia anco una volta....
Ancor più presso; ò freddo, Arnalda, ò freddo....
Qui mi ti posa, e mi riscalda il petto.
Toglimi, cara, quest’anel dal dito.
Esso è quel che portò l’intemerato
Angiol che ti fu madre: io sull’altare
Puro gliel porsi, ed ella ancor più puro
Me lo rendea sull’origlier di morte.
Questo di me, questo di lei ti parli
Infin che vivi. — O, misera, sì forte
Non singhiozzar.... Io rivedrò fra poco
Quella santa nel ciel, ed ambi Iddio
Perpetuamente pregherem per voi...
Ài tu per l’aure torbide sentito
Forte una voce che mi chiama a nome?....
Arnalda, ò freddo.... qui sul cor mi versa
Quelle lagrime calde.... o benedetta....
Ricòrdati di me che muoio....”
Un fiero
Tumultüar d’armati e di cavalli
Che urlando irrompe da la porta, scuote
Quegl’infelici che pareano morti
Al par del morto. — Esterrefatto balza
Nello da terra; il brando impugna: “Sposa
Or siam perduti.”
Una rapace turba
Con agitate fiaccole s’accalca,
Cento facce selvaggie illuminando