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poemetto giovanile. 445

Nembo di freccie i più vicini atterra,
Spunta un’altra e precipita: ma sotto
Crescon le turbe ognor più folte, e poste
Le adunche scale, a dieci, a venti, a cento
Sorgono sul fortin gli assalitori;
Divorato è lo spazio. Odi un feroce
Cozzar di lame, e quel ferino, immenso
Urlo, che solo con la morte à pace.
Vedi sull’alto del pendio tremendi
Saettatori fulminare un misto
D’umane forme, che franano a valle
In amplessi di rabbia; e tra le punte
Batton de le ruine e a balzi a balzi,
Non altrimenti de le querce monde,
Che per le chine lubriche abbandona
Il boscaiuolo de le cedue selve,
Piomban ne la soggetta onda del fiume,
Che tinta in rosso a la città s’avvía!

     Voi, che passate a caso per i ponti,
Arme recando e cibi ai combattenti,
Misere donne, se vedete mai
Agitandosi giù per le correnti
Venir qualche persona moribonda,
Tendete il guardo, poi che forse è il vostro
Figlio esaugue che passa; è forse il vostro
Povero amor che passa! —

                                              È rotto e freme
Anco una volta l’infedel sul calle
Acerbo de la fuga. A la riscossa
Nello, il Signore di Saïdo, accorse.
Di tanta schiera non riman che un solo