Tenace come l’edera, ch’ei preme,
Stretta a le selci di quel merlo antico;
Cresciuto all’ombra de le sue castella,
Cui prime fûr religioni, Iddio,
E la patria, e lo stemma immaculato
De gli avi; e giuoco de le man fanciulle
Una bandiera, un morïone; e orgoglio
Del giovinetto, säettar primiero
La volpe per le macchie irte ringhiosa,
E, plaudito, domar lungo i vïali
Odorosi di fior le riluttanti
Selvatiche puledre; a cui fu ardente
Gioia una sfida; e il ritornar, superbo
Vincitor, dal tornèo; chi può del veglio
Ridir la giovin alma?
Or con lo sguardo:
Segue i passi nimici, e col diverso
Pallor del volto la dubbia vicenda
De le pugne asseconda; e immobilmente
Sfida la palla, che gli sfiora il negro
Pennacchio del cimiero e la corazza.
Quel tetro affanno, che non à parole,
Quell’ira che si erige incontro all’empia
Fatalità che ti calpesta, e leva
Torbida la ribelle anima a Dio,
Quasi il perchè richiegga irriverente
De le sventure immeritate; e l’odio,
Che ribolle al fallir de la vendetta,
Laceravan quel core, e cupamente
Trasparivan da gli occhi. Egli intravede,
Come in presaga visïon, pei rotti
Valli la furia dei vincenti, e ad ogni