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poemetto giovanile. 439

Che lunghi giorni illumina il paese;
Ài tu sentito crepitar gli antichi
Pini ed uscir dai covi de le fiere
Un ululo selvaggio?

                                     E tale è il vario
Fragor, che assorda questa valle: misto
A lo squillo dei corni, odi il nitrito
De’ fuggenti cavalli, e l’iracondo
Grido de gli omicidi, e dei feriti
I lamenti supremi; e tutta quanta
Ti sembra palpitar l’isola, quasi
Impaurita ninfa oceanina,
In fra le spire di marino mostro.

     Da vaporoso padiglione intanto
D’accese nuvolette, i raggi d’oro
Trae, maraviglia d’ogni giorno, il sole;
E in mezzo a la prefissa orbita fulge,
Indifferente, se di sopra il nostro
Mondo, plasmato di superba creta,
L’uom nell’ebbrezza di gioiti amori,
O dell’odio nell’impeto si abbracci.

     Passâr lungh’ore di scambiate morti,
Nè lo stendardo del profeta ardiva
Agitar le sue verdi onde di seta
Su gli spaldi inaccessi. Invan le adunche
Scale rasente le muraglie, e i muti
Passi furtivi per le torte vie
De le breccie, e gli aperti impeti invano:
Poi che su gli eminenti orli una siepe
Sta vegliando di prodi; e all’uopo scende