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poemetto giovanile. 433

Questo, che m’arde, amor de la mia terra,
Perchè vestirla di cotanto riso,
E poi farla si misera e scaduta,
E fieramente serva? Oh! sull’istesso
Monte de gli uliveti, e su le zolle
Dove pregasti la suprema notte,
Io supplicando ti richiesi un giorno:
Dammi che vegga almen splendere un sole
Dei suoi liberi giorni; e se delizia
Non m’assenti cotanta, oh! dammi almeno
Per questa cara che pugnando io spiri!
E venne il dì de le battaglie; e a un punto
Stretti ad un patto, proferito un giuro,
Folti concordi si levâro i forti....
E tu li percotesti! Oh! se nel cielo
La rüina n’è scritta, e pur di questa
Dolce mia casa un martire è voluto,
Salva, o Signore, la paterna salva
Veneranda canizie, e l’adorato
Petto di Nello mio salvami.... e sola
Sia la martire, io sola....»

                                                    E quel vicino
Guerrier non visto, più e più commosso,
Udendo in quella nobile preghiera
Così sonar il nome suo, chinossi,
E intenerito la baciava in fronte.
La vereconda si rivolge; il noto
Sembiante scorge, e disperatamente
Gli si abbandona ne le braccia:

                                                           “O Nello,
D’amor non favellarmi; in questi giorni,