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poemetto giovanile. 431


     Ma in quella libertà de la natura,
Ma in quella ingenua libertà del core,
Ella apprese ad amar d’amor profondo
Dio, la patria, i parenti, ed infiniti
Eran de la soave alma i tesori.

     Ora il pensier, ond’ella è tribolata,
È l’imminente, irrevocabil, fiera
Agonía de la patria. È l’improvvisa
Morte, che fischia nell’ardente palla,
E pende forse sul capo paterno,
E sul capo di tal, ch’ella osa appena
Nomare, e pur dall’äere, dall’onda,
Dall’universo nominar l’ascolta.
E per quanti pensier tumultüando
Commovesser quell’anima, pur sempre
Avea dinanzi questi due, feroci
Indefessi. — E se mai qualche speranza
Passava di conforto apportatrice
Su quel core un istante, era l’augello
Sovra il lago d’Asfalte; un volo, un lieve
Volo e poi muor. Le ardea la fronte china
Sotto la piena dell’affanno. Un’aura
Non alitava. Impazïente ai caldi
Vapori che salían da la pianura,
Scese al giardino, già da lunghi giorni
Non visitato. La gramigna edace
Ingombrava i vïali. Un doloroso
Presentimento l’assalì mirando
La palma che sua madre, ahi! già sotterra,
Augurando piantò quand’ella nacque;
Chè rïarsa dal sole era la palma.
Per una via di scompigliati fiori