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430 arnalda di roca

Apportatori d’un’eterna idea,
Qui riposando sul veron dell’orto
L’iri stringea de le celesti piume!
Ma quel mesto pallor, quel bruno lampo
Appassionato de la sua pupilla,
Quel tremito affannoso, onde agitarsi
Vedi del crin la negra onda diffusa,
Non mi rivelan la serena ebrezza
Dei Serafini. E troppo è fiero e rotto,
Il palpito di quel core; chè tale,
Malinconica Arnalda, era il tuo core.

     Le verginelle de la stessa etade
Che ai vispi giuochi, ai canti dell’amore,
A le preghiere le venían compagne,
La diceano fantastica. E talvolta
Mentre sul volto le splendeva il riso,
In un baleno, a una cadente stella,
Ai giri d’una rondine sul fiume,
A lo squillar d’una campana, al lento
Battere de la pioggia nel cortile,
S’intorbidava di mestizia arcana;
E solitaria si piacea per lunga
Ora seguir ne’ rugiadosi solchi
Del vespertino radïante insetto
L’intermittente palpito di luce;
E il vagar d’autunnal foglia sul terso
Cristallo di correnti acque caduta;
E il vagar de le nubi in tempestoso
Cielo; e la barca che fendeva il mare.
E meditava — e meditava, e spesso
Il metro allegro d’una sua canzone
Seguía ’l tramonto d’una mesta idea.