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un’ora della mia giovinezza. |
7 |
Da la terra, dal mar, da le profonde
Nebulose del cielo, ad una ad una
Percotevan nell’anima echeggiante
Del giovinetto. Tal che a le querele
D’una calandra; al vespertin tintinno
De la reduce mandra; a le opaline
Ali d’una libellula che danza
Sovra un tappeto di palustre lemna;
A un gemito di vento; al subitano
Illuminarsi di soggetta villa
Per un notturno lampo; a le pesanti
Gocce di piova che l’april balestra,
L’aure odorando di percossa polve:
Via per lo mar degli esseri vogava
L’agil pensiero, ed era tutta vele
La navicella de lo ingegno mio.
III.
Che se talvolta m’assalian quell’ore
D’una tristezza incognita, che sveglia
Sul fiorir de la vita non so quale
Vago desío de la lontana tomba;
Quell’ore combattute da indistinte
Fantasie di dolori; ore feconde
Quando l’anima cresce, e nel fanciullo
Lampeggia l’uomo; io conosceva il loco
Del mio rifugio. Ed era un dissüeto
Campestre tabernacolo di quattro
Pioppi ne la severa ombra raccolto.
Ivi io pregava, non so ben qual Santo;
E se la brezza mormorava in alto